Hai un fibroma? L’utero si può salvare

Autrice: Maria Cristina Valsecchi

Pubblicato su: Eva – Sapere è potere

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Giovanna ha 49 anni. Al tatto avverte un lieve rigonfiamento nella parte bassa dell’addome e prende appuntamento col ginecologo per un controllo. L’ecografia mostra due piccoli fibromi, di circa due centimetri di diametro, che non le danno alcun disturbo o sanguinamento anomalo. Il medico la invita a tornare dopo viagra 25 sei mesi per un controllo. Al secondo appuntamento i due fibromi sono leggermente cresciuti. Ancora nessun sintomo, cialis 100 nessun disagio.

A questo punto il ginecologo la invita caldamente a fare un’isterectomia: togliere tutto, utero e ovaie, “tanto alla sua età non le servono più e così si esclude l’eventualità futura di sviluppare un cancro”.

Giovanna prende tempo e cerca un secondo parere, si rivolge a un’altra ginecologa, che la rassicura: fibromi sono piccoli, non le danno alcun fastidio e la loro presenza non aumenta il rischio di cancro. Non c’è ragione di fare nulla se non aspettare e tenerli sotto controllo, men che meno è opportuno rimuovere utero e ovaie, un intervento radicale, che può comportare effetti indesiderati significativi e in questo caso sarebbe del tutto ingiustificato, tanto più che la donna è alle soglie della menopausa e con la cessazione del ciclo i fibromi smetteranno di crescere.

La ginecologa è Elisabetta Canitano, presidente dell’Associazione Vita di Donna Onlus. “Quello che è successo a Giovanna è tutt’altro che raro”, osserva. “È frequente che la rimozione dell’utero, magari accompagnata dalla rimozione delle ovaie, venga raccomandata in presenza di fibromi anche piccoli che non richiederebbero alcun trattamento o per cui esistono trattamenti meno invasivi, nonostante l’evidenza e le linee guida di tutte le società scientifiche nazionali e internazionali dicano diversamente. All’origine di questo comportamento c’è un fortissimo pregiudizio culturale: considerare l’apparato genitale della donna solo come uno strumento atto alla riproduzione. Se la donna ha superato l’età fertile o ha già avuto il numero di figli che desidera, il suo apparato genitale viene reputato ormai inutile, una ‘parte a perdere’ che si può togliere”.

Troppe isterectomie

L’isterectomia, la rimozione dell’utero con o senza ovaie, è il secondo intervento chirurgico ginecologico più frequente nel nostro Paese, dopo il cesareo. Nel 2018 in Italia (1) ne sono stati effettuati 52.994. La maggior parte di queste procedure, più del 70%, è motivata dalla presenza di malattie benigne che si potrebbero curare in altro modo, come i fibromi (2).

Il 50% delle donne che hanno ricevuto una diagnosi di fibroma va incontro a un intervento chirurgico nel corso della sua vita e nel 70% dei casi questo intervento è un’isterectomia (3). Ma c’è un dato ancora più inquietante: a parità di età, il rischio di subire un’isterectomia è doppio per le donne che hanno la licenza elementare rispetto alle donne laureate, è maggiore per le donne straniere rispetto alle Italiane ed è maggiore per le donne disoccupate rispetto a quelle che hanno un’occupazione (4). Come dobbiamo interpretare questi numeri? “Le donne che hanno maggiore accesso a informazioni corrette sulla loro salute, quelle che non si fermano alla prima indicazione del medico ma prendono l’iniziativa di cercare un secondo parere, che ne hanno i mezzi, sono quelle che accedono a cure più conservative ed evitano un intervento radicale quando se ne può fare a meno”, dice Claudio Crescini, vicepresidente dell’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani.

La possibilità di informarsi correttamente, bisogna chiarirlo, finasteride capelli donne non dipende solo dalla buona volontà della persona che cerca il meglio per sé, ma dalle sue condizioni sociali e dalle sue disponibilità economiche, che possono aiutare oppure ostacolare la sua volontà di partecipare alle decisioni sulla propria salute. E un’informazione di qualità sulla salute serve proprio a combattere queste disuguaglianze: sapere è potere.

Come viene motivata la raccomandazione di rimuovere l’utero, a volte anche le ovaie, in presenza di fibromi? “Viene prospettata come un modo per risolvere il problema definitivamente e rapidamente. Così non ci si pensa più. Un’idea allettante per la donna che ha dei disturbi a causa del fibroma”, risponde Canitano. “Naturalmente però la paziente deve essere informata sia degli aspetti positivi che delle conseguenze indesiderate e dei rischi di questa opzione. Solo in questo modo può fare una scelta consapevole sul proprio corpo, anche quella dell’isterectomia, se lo desidera”.

Un’altra ragione addotta per raccomandare l’isterectomia alle donne con fibromi è prevenire l’eventuale insorgenza futura di tumori all’utero o alle ovaie. “Ma il tumore maligno dell’utero e quello delle ovaie sono infrequenti nella popolazione generale”, osserva Crescini. “Dovremmo operare centinaia di donne per prevenire un singolo caso. Il beneficio non compenserebbe le conseguenze indesiderate. E la presenza di fibromi non aumenta il rischio di cancro. Un fibroma non evolve in tumore maligno, ma un tumore maligno allo stadio iniziale può essere confuso con un fibroma. Per questa ragione i fibromi devono essere tenuti sotto controllo, deve essere valutato l’aumento di volume nel tempo, l’eventuale comparsa di dolore e sanguinamento anomalo, caratteristiche ecografiche sospette”.

Ben diversa è la situazione delle donne geneticamente predisposte al tumore dell’ovaio, per esempio le portatrici di specifiche varianti dei geni BRCA1 e 2. Per loro il rischio di ammalarsi nel corso della vita è elevato e un intervento di rimozione preventiva delle ovaie può essere vantaggioso.

Che conseguenze ha togliere l’utero

L’isterectomia può coinvolgere solo il corpo dell’utero, preservando la cervice, o anche la cervice. Può essere abbinata alla rimozione delle tube e anche delle ovaie. Si può effettuare per via laparotomica, cioè incidendo la parete addominale, o per via laparoscopica, attraverso piccoli fori addominali, o ancora per via vaginale. I rischi, le conseguenze indesiderate e i tempi di ripresa dopo l’intervento cambiano a seconda di cosa viene rimosso e della tecnica usata.

Solo quando è veramente necessario farvi ricorso, quando non sono disponibili alternative meno invasive, i benefici dell’intervento compensano i suoi costi. Ma quali sono questi costi? Il rischio di complicazioni, che nel loro insieme non sono rare (5): infezioni della ferita, trombosi, emorragie, danni alle vie urinarie, all’apparato gastrointestinale, lesioni dei nervi. Se oltre all’utero vengono rimosse anche le ovaie, la donna si trova improvvisamente in menopausa, con tutti i disturbi che il brusco cambiamento comporta: vampate di calore, alterazioni dell’umore, disturbi della memoria, dolori alle articolazioni, aumento del rischio di osteoporosi e malattie cardiovascolari, calo della libido, secchezza vaginale e fastidio durante i rapporti sessuali.

Un aspetto su cui la ricerca ha prodotto risultati contrastanti è proprio quello sessuale: diversi studi affermano che dopo la rimozione dell’utero la soddisfazione delle donne durante i rapporti aumenta perché vengono meno i sintomi che le affliggevano prima dell’intervento: emorragie e dolore. Ma, ovviamente, questa considerazione perde valore quando gli stessi sintomi si possono eliminare con un trattamento meno invasivo. Di contro, il 20% di chi ha subito un’isterectomia, anche senza rimozione delle ovaie, sperimenta una riduzione dell’eccitazione e del piacere sessuale, dovuta al fastidio delle cicatrici operatorie e di piccole aderenze, a lesioni dei nervi che provocano una parziale perdita della sensibilità della vagina, talvolta alla riduzione della lunghezza della vagina o al suo prolasso (6).

“Consideriamo poi che l’utero non serve solo alla riproduzione, è coinvolto anche nei meccanismi del piacere sessuale: le sue contrazioni contribuiscono all’intensità dell’orgasmo, in misura diversa da persona a persona”, spiega Canitano. “Perché privarsene, se è possibile risolvere i problemi di salute con un approccio meno invasivo?”

Che cosa sono i fibromi uterini e come si curano senza togliere l’utero

Il fibroma, o mioma, o leiomioma, o leiofibromioma è una formazione benigna che origina dalla moltiplicazione anomala di cellule della parete muscolare dell’utero. Può svilupparsi all’esterno dell’organo (fibroma sottosieroso), nello spessore della parete (intramurale), o nella cavità uterina (sottomucoso). Tende a crescere col passare del tempo in età fertile perché risponde all’azione degli ormoni estrogeni. Si stima che il 40% delle donne sopra i 35 anni e il 70-80% dopo i 50 anni ne abbia uno o più di uno, che però nella maggior parte dei casi sono del tutto asintomatici e vengono scoperti per caso con l’esame ecografico durante le visite di controllo del ginecologo (7).

Talvolta, a causa delle dimensioni e della posizione, possono invece procurare sintomi: fastidio o dolore durante i rapporti sessuali, mestruazioni abbondanti, fino alle emorragie ricorrenti e all’anemia, contrazioni dolorose, compressione delle vie urinarie o dell’intestino. In età fertile, possono in rari casi ostacolare l’avvio della gravidanza. In menopausa smettono di crescere e spesso il loro volume si riduce.

“In presenza di un fibroma asintomatico, non occorre fare proprio nulla. È sufficiente tenerlo sotto controllo per via ecografica in occasione delle normali visite dal ginecologo”, dice Claudio Crescini. “Se è sintomatico, in prima battuta c’è ampia scelta di farmaci che si possono utilizzare per trattare i disturbi: contraccettivi orali e spirali a rilascio di progestinico per ridurre l’entità del sanguinamento e le contrazioni dolorose, acido tranexamico, che è un antiemorragico, analoghi del GnRH, che producono una temporanea e reversibile menopausa artificiale e ne bloccano la crescita, a volte ne riducono la massa. Fino a poco tempo fa, tra i farmaci indicati in questi casi c’era l’ulipristal acetato, da somministrare a cicli intermittenti anche per lunghi periodi, molto efficace nel ridurre dolore e sanguinamento. Di recente, però, è emerso il rischio che il suo uso prolungato possa risultare tossico per il fegato”.

Se la terapia farmacologica non è sufficiente a controllare i sintomi e arrestare o invertire la crescita del fibroma, esistono interventi chirurgici che non sono demolitivi come l’isterectomia. “Si può rimuovere il fibroma con una miomectomia”, spiega Crescini. “Si può fare per via laparotomica o laparoscopica, a seconda della situazione. L’opportunità di qualunque intervento deve essere valutata insieme alla diretta interessata, tenendo conto della situazione specifica, di rischi e benefici. Questa è medicina personalizzata”.

C’è poi un’altra opzione indicata per tutti i tipi di fibroma sintomatico, anche quelli multipli e di grosse dimensioni, difficili da rimuovere con la chirurgia: l’embolizzazione. “È una tecnica sviluppata in Francia negli anni ’90 per trattare le emorragie post partum e quelle di origine oncologica”, spiega Pascale Riu, radiologa interventista dell’Ospedale San Camillo – Forlanini di Roma.

Embolizzazione del fibroma

L’intervento si svolge in anestesia locale e lieve sedazione. Con un catetere inserito attraverso l’arteria femorale nelle arterie uterine e con guida radiografica, delle minuscole particelle di materiale sintetico non riassorbibile vengono iniettate nei vasi sanguigni che alimentano il fibroma. Il tessuto privato dell’apporto di sangue va in necrosi, muore, e nel corso dei mesi successivi la massa si riduce (8). “L’effetto pressoché immediato dell’intervento è l’arresto della perdita di sangue causata dal fibroma”, dice Riu. “Il volume nella maggior parte dei casi si dimezza nell’arco di sei mesi, quel che basta per eliminare il dolore e i sintomi dovuti alla compressione degli organi circostanti”.

Dopo l’embolizzazione sono previste una o due notti di ricovero con somministrazione di analgesici. “L’arresto del flusso sanguigno può provocare delle contrazioni uterine dolorose”, spiega la radiologa, “ma ben controllate dai farmaci. Dopo le dimissioni e 7 giorni di convalescenza, la paziente può tornare alla sua vita normale”.

Le possibili complicazioni dell’intervento sono rare: la più frequente è l’espulsione del fibroma ormai necrotizzato che si stacca dalla parete dell’utero a qualche settimana di distanza dall’operazione. “Ma non la considero una complicanza, piuttosto la risoluzione definitiva del problema”, osserva Riu. È un’eventualità che si verifica nel 2,5% dei casi.

Poi c’è il rischio di dolori prolungati, oltre la prima settimana dall’intervento, che riguarda il 2% dei casi. Il rischio di trombosi, comune a tutti gli interventi chirurgici, è dell’1%. “Motivo per cui la paziente deve indossare calze anti-trombo durante l’operazione e nei giorni successivi, finché non recupera la piena mobilità”, spiega. Infine, c’è una probabilità dell’1% che si formi un piccolo ematoma di risoluzione spontanea nell’area dove è stata punta l’arteria femorale per introdurre il catetere.

A sei mesi di distanza è previsto un controllo con risonanza magnetica per valutare la riduzione del fibroma. Uno studio multicentrico condotto in Francia ha evidenziato un alto grado di soddisfazione delle pazienti con netto miglioramento della qualità di vita e della soddisfazione nella sfera sessuale a un anno di distanza dall’embolizzazione (9).

L’intervento è controindicato quando esiste il sospetto che la massa da trattare non sia un fibroma ma una massa maligna, in presenza di infezioni pelviche e relativamente controindicato quando la donna ha progetti di future gravidanze. “Questa tecnica è stata usata per il trattamento dell’emorragia post partum e sono riportati casi di donne che dopo l’accaduto hanno avuto nuove gravidanze, quindi sappiamo che l’embolizzazione non compromette del tutto la fertilità”, spiega Riu. “Ma per precauzione quando una paziente ha progetti riproduttivi è meglio valutare altre opzioni con il consiglio del ginecologo”.

Oggi in Italia tutti i grandi ospedali che hanno un servizio di radiologia interventistica possono effettuare l’intervento, ma l’esperienza dello specialista che opera è importante per una buona riuscita. “Ci vuole un po’ di allenamento per prenderci la mano e lavorare rapidamente”, spiega Riu. “Idealmente l’operazione dovrebbe durare circa 40 minuti, per non lasciare troppo a lungo il catetere nell’arteria e risparmiare radiazioni alla paziente. Abbiamo diverse donne che da altre le Regioni vengono a Roma per operarsi nelle strutture che hanno acquisito maggiore esperienza e lo stesso probabilmente succede a Milano”.

A chi può rivolgersi chi ha un fibroma sintomatico e vuole esplorare questa possibilità? “In prima battuta dovrebbe parlarne col ginecologo che la segue”, risponde Riu. “Alcuni però sono ancora poco informati su questa tecnica e non la prendono in considerazione. Se il ginecologo non si mostra aperto a questa possibilità, consiglio di rivolgersi direttamente a uno specialista che effettua embolizzazioni e chiedere informazioni e un parere. Quando al nostro ospedale si rivolgono donne interessate all’intervento, ma che sono state scoraggiate dal proprio medico curante, le indirizziamo ai nostri ginecologi, che hanno fiducia nell’embolizzazione perché ne hanno apprezzato i risultati nel tempo e possono valutare la situazione senza esclusioni a priori. Io ritengo che grazie alle terapie mediche, la chirurgia conservativa e la radiologia interventistica a oggi non c’è alcun fibroma uterino che debba essere necessariamente trattato con la rimozione dell’utero”.

Bibliografia

  1. pne.agenas.it
  2. A. M. Rosito, A. Degaetano et al, “La variabilità della pratica medica”, Tendenze nuove 2-2002
  3. M. Chiumente, M. De Rosa et al, “Burden of uterine fibroids in Italy: epidemiology, treatment outcomes, and consumption of health care resources in more than 5,000 women”, ClinicoEconomics and Outcome Research, 9 (2017) pp. 525-535
  4. V. Minardi, V. Possenti et al, “Il livello di istruzione influenza il ricorso all’isterectomia in Italia (Dati PASSI 2008-2015)”, Epidemiologia e Prevenzione, 40 (2016) p 381
  5. D. L. Clarke-Pearson, E. J. Geller, “Complications of hysterectomy”, Obstetrics and Gynecology 121 (2013) pp. 654-673
  6. R. Lonnée-Hoffmann, I. Pinas, “Effects of hysterectomy on sexual funcion”, Current Sexual Health Reports 6 (2014) pp. 244-251
  7. Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani, Associazione Ginecologi Universitari Italiani, “Linee guida sulla diagnosi e trattamento della fibromiomatosi – Bozza”, 2017
  8. H. van Overhagen, Jim A. Reekers, “Uterine Artery Embolization for Symptomatic Leiomyomata”, Cardiovascular and Interventional Radiology 38 (2015) pp. 536-542
  9. H. Vernhet Kovacsik, D. Herbreteau et al, “Evaluation of changes in sexual function related to uterine fibroid embolization (UFE): final results of the French SFICV EFUZEN study”, Cardiovascular and Interventional Radiology, 40 (2017) pp. 1169-1175